40 anni fa, il mio primo Fumo di China

Quarant'anni fa, nel maggio 1984 (ricordo che era una mattina di un venerdì), ero a Taranto con mio padre. Eravamo andati all'Ufficio del Catasto, in via Pupino.
Mentre lui aspettava il suo turno per consultare degli estratti di mappa per delle trasformazioni ai terreni che conduceva, io mi spostai della parte opposta della stessa via, al numero 19 ovvero da Best Record, storico negozio di dischi tarantino del mio amico (ma lo diventerà in seguito) e collezionista di vinili Vittorio Albano. Un vero ritrovo per appassionati che per ben 10 anni, dal 1983 e al 1993, è stato un punto di riferimento a Taranto per la musica di allora: new wave, new romantic, post-punk e anche new progressive rock, con tanti dischi (allora c'era il vinile) importati direttamente da America e Inghilterra.


Io avevo 22 anni e seguivo un gruppo del cosiddetto new progressive rock: Marillion. Da molti accusati di copiare un altro gruppo per il quale stravedevo, i Genesis dell'era-Gabriel, i Marillion erano per me, che non avevo vissuto quel periodo (1969-1974), in quanto troppo piccolo, una vera manna dal cielo.


Il loro frontman, che si faceva chiamare Fish, durante i concerti usava dei travestimenti, proprio come Peter Gabriel.
Avevano appena pubblicato il loro nuovo (secondo) album: Fugazi, che arrivava a un anno esatto dal sorprendente esordio intitolato Script for a jester's tear.
Acquistai il disco nella edizione italiana (10.000 lire, rispetto a quella inglese che costava 14.000) e contento tornai da mio padre che però era ancora in attesa del suo turno.
Decisi allora di fare un giro in centro. Su via D'Aquino (appagando un'altra mia passione: il fumetto) incocciai  contro un'altra storica "bottega" tarantina: l'edicola Fucci. Un riferimento per la cultura della Città dei Due Mari, dove si potevano incontrare anche l'intero gruppo di giornalisti del Corriere del Giorno e persino la poetessa Alda Merini che visse a Taranto per qualche tempo.
Lì mi imbattei in una stranissima pubblicazione. Una rivista che parlava di fumetto. In copertina aveva un disegno di un artista riconoscibilissimo per il suo tratto unico ed inconfondibile e che io amavo alla follia, ovvero Roberto Raviola in arte Magnus!
Si trattava del n. 20 della prima serie di Fumo di China!


L'edicolante, con occhialini tondi e baffi, che somigliava tanto ad Antonio Gramsci (ma non ero sorpreso, visto che fuori del negozio c'era un'insegna con la scritta "Leggete l'Unità"), mi guardò quasi con ammirazione, quando gli chiesi di darmi quel "giornale con il pistolero, lì in alto".
Sfoderò un gran sorriso e mi disse solo: "Quella è una fanzine... costa un po', però...".
Io non ricordo affatto quanto pagai, ma tornai strafelice in macchina da mio padre che mi aspettava al parcheggio su viale Virgilio.
Per tutto il viaggio di ritorno, sfogliai e risfogliai quel numero di Fumo di China, il primo in assoluto che io abbia mai posseduto e letto.
Restai rapito dall'intervista a Magnus che svelava, tra le altre cose, alcuni retroscena di quando disegnava Kriminal, raccontando senza filtri quale fosse la sua bestia nera di disegnatore all'epoca... le auto "fatte a scatola".
Dissi, tra me e me: "Un giorno scriverò anch'io su Fumo di China e intervisterò i grandi del fumetto".


Il mio sogno si è avverato tantissimi anni dopo, nel novembre 2019, su Fumo di China 292, con il mio primo articolo per i 90 anni di Ivo Pavone.

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